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anch’esse salutarono, ma a testa china; poi si alzarono e sparecchiarono.

Il Ghisu sedette accanto al focolare e cominciò a chiacchierare col vedovo.

— Ho bisogno d’un servetto: ma d’un servetto fidato, docile, malleabile. Ne farei un abile pastore: gl’insegnerei a fare il formaggio come lo fanno in continente.

Zio Ballore sorrise con disprezzo.

— Che bisogno abbiamo di fare il formaggio come lo fanno in continente? È forse mal fatto il nostro formaggio? Ad ogni modo, figlio mio, io non posso favorirti; i miei figli non sono docili, non sono nati per fare i servi…

Miale guardò verso il gruppo dei fanciulli, poi sollevò gli occhi e vide, nello sfondo della cucina, la figura alta e svelta di Ballora.

Ella aveva ripreso il suo fuso e filava, e quando le zie non la guardavano, fissava avidamente gli occhi sul volto dello straniero.

Miale era bello e lo sapeva, ma non per questo gli sguardi d’una donna, specialmente se giovane e bella come Ballora, lo lasciavano freddo. Inoltre egli sapeva che i compaesani di Ballora pretendono che le loro donne non guardino gli uomini degli altri paesi: tanto più gli sguardi avidi e arditi della bella filatrice lo eccitavano. Anch’egli cominciò a guardarla.

— No, — riprese zio Ballore — non siamo nati per fare i servi. Poveri sì, ma padroni in casa nostra. Siamo sette fratelli, tu lo sai, otto con no-