Pagina:Deledda - Il flauto nel bosco, Treves, 1923.djvu/256

248 il flauto nel bosco

avesse cominciato a parlarmi sottovoce come parlasse fra di sè.

E con terrore appresi che egli sapeva tutto di me; la mia età, le mie abitudini, i miei sogni ambiziosi, la mia disperazione rassegnata di non raggiungerli mai.

— Ma chi le ha detto tutto questo?

— Chi? Il suo amico.

— Io non ho amici.

— Lei ne ha uno del quale farebbe bene a liberarsi.

— Non capisco.

— Capisco bene io. Lei ne ha uno che le fa perdere inutilmente il tempo, e fa ombra pure a me.

— Beh! Il cipresso!

— Proprio il cipresso.

Egli si versò da bere, senza guardarmi: vidi la sua mano bianca velata di peli aprirsi come la zampa del gatto quando afferra la preda: ghermì il bicchiere pieno, lo rimise vuoto battendolo un poco sulla tavola, con decisione rabbiosa.

— Tagli il cipresso, — mi disse senza alzare la voce, — anche a mia madre fa dispiacere vederlo; dice sempre: finchè ci sarà quell’albero la vita non entrerà in casa nostra nè in casa loro. Vorrei veder morire contenta mia madre: ha lavorato molto nella sua vita, e adesso è vecchia.