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Il cipresso 245

solo pensiero di doversi un giorno staccare dalla solitudine e dal silenzio che rivelavano, destandolo, all’anima inquieta, il solo perchè della sua esistenza: l’amore per le cose eterne.

Le ore più belle della giornata le passavo sotto il giovine cipresso che dall’oppressione del muro al quale il suo tronco era quasi incastrato, si slanciava sul cielo aperto d’oriente, leggero come un grande fuso col suo rigonfio di seta verdone dal quale io traevo un inesauribile filo di sogni.

Avevo costrutto un piccolo sedile accanto al tronco e lì stavo tranquilla: e l’albero viveva con me, fianco a fianco, respirando la stessa aria, crescendo con me. E naturalmente io amavo me stessa in lui, e le cose mie, interiori e materiali, che portavo al rifugio della sua ombra e che la sua ombra rendeva più mie. Dapprima furono i giocattoli, poi i libri di scuola, poi i lavori di ricamo che credo siano stati insegnati alla donna per frenarne le inquietudini, e queste inquietudini, e le rivelazioni prime e più grandi della vita.

Tutte le romanticherie dell’adolescenza si avvolgevano come tralci di edera all’albero amico: i primi versi furono per lui: da lui mi pareva spuntassero, nei verdi crepuscoli, la luna e le brillantissime stelle