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Cura 219

stringe intorno a un piccolo edificio di tela dentro il quale ci deve essere, a giudicare dall’attenzione ansiosa degli astanti, qualche cosa di fatale.

— È il teatro di Pulcinella; la fabbrica dell’appetito — mi dice una sinistra vecchia strizzando l’occhio con confidenza e con invito ad andare con lei a vedere.

Ma io non mi sento ancora nello stato di grazia di accompagnarla, e proseguo: però, un certo senso di allegria incosciente mi viene comunicato dalla gente che va su e giù sguazzando nella mota e nella miseria come nel suo elemento naturale.

Mi vedo passare povera fra i poveri nello specchio grottesco del robivecchi; saluto il mio buon carbonaio nero e bello come l’antico spazzacamino. Dopo tutto sei tu, buon carbonaio, nonostante il tuo peso scarso, il migliore amico mio dell’inverno che corre, tu che porti sulle tue spalle e deponi ai miei piedi il calore necessario alla mia esistenza.

E poichè salutiamo, salutiamo anche il maestoso ventre della vinaia che tappa la bocca violacea della sua taverna; e sopratutto il fornaio birbante che senza farsi pregare come Iddio ci manda il nostro pane quotidiano. All’unto norcino, poi, regalo proprio un sorriso, perchè non conosco un