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la martora 77

dersi davanti al tavolo sotto l’abbaino; ma quella borsa lì davanti, di cuoio nero pelato, con le cinghie rosicchiate, era la cosa più fredda e più orribile della casa: faceva ripugnanza a toccarla, era una cosa putrefatta, era l’involucro nero d’un piccolo mostro morto. Meglio guardare in su: in su, verso l’abbaino. Lassù c’è l’aria, il cielo, la vita, la vita!

E c’è anche il viso bianco del gatto che pare inviti Minnai a farsi coraggio, a tentare di uscire dal suo sepolcro. Sì, a volte basta l’esempio di un essere infinitamente più debole di noi per richiamarci dal fondo oscuro della nostra miseria. Non era del resto la prima volta che Minnai prendeva ad esempio il gatto: in un attimo dunque un grande vaso di sughero che serviva alla zia per la farina fu sopra il tavolo, capovolto come un enorme tamburo, con la borsa sotto seppellita; e sopra una sedia, e sopra la sedia uno sgabello: e sopra lo sgabello come in cima a una torre il piccolo Minnai che sfondava l’abbaino e immergeva la testa nell’infinito. Persino il gatto era fuggito lontano per la sorpresa: e tutto intorno i bassi tetti secolari, di embrici