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il tesoro | 33 |
vesu aveva cambiato parere riguardo alle donne.
Ma quando il solitario, volgendosi un poco con la penna in mano gli domandò: — Che vuoi? — egli aprì la bocca ma non potè parlare. No; non poteva. L'uomo che era davanti a lui con la penna in mano rassomigliava a tanti altri, al Sindaco, per esempio, di cui era parente, al Medico, al signor Pretore. E perchè scriveva? A chi scriveva? Gian Gavino ricordava d'essere stato una volta a Nuoro, come testimone, ed era stato ospite nella casa del padrino d'un suo parente, e nel cortile, alla sera, aveva raccontato una storiella alle serve e alle ragazze sedute al fresco: ebbene, una di queste ragazze, che scriveva, aveva poi stampato la storiella sul foglio; e nel paese l'avevano letta, il maestro e il pretore, e avevano riso di lui, Gian Gavino, e anche di lei, della figlia del padrino del parente. No, egli aveva paura della gente che scriveva.
— Ma, dunque? — domandò il nobile solitario, con pazienza, guardandolo bene in viso coi suoi begli occhi neri vivaci. — Che vuoi?