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il tesoro | 31 |
ro gettate su lui come le aquile marine sugli agnelli smarriti nella landa. E più di tutto aveva paura dei parenti presso cui viveva e che sempre lo avevano deriso come un semplice, un buono a niente. Voleva dimostrare a loro, o meglio a sè stesso, che era furbo come gli altri, che anzi era più furbo degli altri. Così mangiava poco per conservare il più a lungo possibile la sua provvista e non essere costretto a tornare in paese: e lavorava con la tasca di cuoio infilata alle braccia sopra le spalle. Ma un giorno le provviste finirono ed egli dovette tornare in paese. Così gli venne in mente di domandare consiglio a don Gavino Alivesu.
La casa di don Gavino Alivesu era sempre aperta a tutti: una scaletta esterna conduceva dal cortile erboso solitario al piano superiore, e Gian Gavino salì dritto col suo carico, senza chiedere permesso. Si trovò in una stanza nuda, col soffitto di legno ov’era aperta una botola attraverso la quale si vedeva il soffitto della stanza superiore: e stette a guardare col viso per aria come Giaffà, il semplice della novella sarda, quando sua madre gli buttava dalla finestra le fave con