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216 l’augurio del mietitore


Ed ecco un piccolo stazzo circondato da un’arida siepe di fichi d’India, sotto un rialzo nero pietroso senza un filo d’erba. Le capre pascolavano fra i cespugli, davanti allo stazzo: alcune s’erano arrampicate anche sui mandorli e i peschi rachitici, là dietro la siepe, e brucavano tutto avidamente.

— Non c’è nè cane nè padrone, — disse il mietitore più anziano. — Tuttavia andiamo a vedere.

Andarono a vedere. All’ombra di un sambuco fiorito, accanto alla porta del piccolo casolare, videro sdraiata su una pelle di montone una bella ragazza bruna. Teneva le mani sotto la testa, fra le treccie nere disfatte, e guardava il cielo attraverso le fronde del sambuco, con aria beata. La viva luce azzurra del meriggio dava alla sua pelle bruna lo splendore del bronzo. Udendo i passi dei due uomini s’alzò a sedere e tentò di rimettere in ordine i bei capelli oleosi ondulati, guardando dritto negli occhi, coi suoi grandi occhi languidi, il mietitore anziano che s’era fermato davanti a lei e le diceva:

— Siamo in viaggio in cerca di lavoro: abbiamo sete. Ci dai da bere?