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206 la potenza malefica

nero fra due bande di capelli bianchi, immobile e jeratico, ricordava quello di certi santi di legno delle chiesette dei villaggi sardi; ma la bocca si torceva spesso con disgusto, e gli occhi grandi a mandorla brillavano ancora giovanili e tristi, spesso anche minacciosi.

Veniva a riportare le scarpette accomodate, un paio in una mano un paio nell’altra; e pareva ch’esse, pure così piccole e lievi, tenessero in equilibrio come i pesi di una bilancia quel lungo corpo oscillante. Veniva e discuteva a bassa voce il prezzo con la serva anziana: non si accordavano mai, ed egli sedeva nel cortile aspettando oltre la mercede un bicchiere o magari due di vino. Preferiva l’acquavite, e vuotava il calice senza vederlo, con avidità tremula; poi subito si inteneriva, ubbriacato dal liquore, e non riusciva più ad alzarsi per andarsene.

Con le grandi mani sulle ginocchia, la testa sempre china, cominciava a raccontare cose strane alle donne raccolte a lavorare nel cortile.

A volte sollevava d’un tratto il viso, guardava intorno un po’ furtivo per assicurarsi