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mava sempre fra le sue labbra come il piccolo cratere di un vulcano.

L’omuncolo col bastone gli fu davanti senza dare molta importanza all’incontro: parve più interessato delle rimostranze di amicizia che la cagna, riconoscendolo, gli faceva.

— Andiamo a caccia, eh? È da tanto che non ci si andava. Ma abbiamo avuto qualche disavventura amorosa, eh?

Per chi parlava? Il cacciatore non si degnò rispondergli, se non quando il vecchietto disse:

— Fai bene ad andar su: in valle non ci sono che passeri.

— E per passeri sono uscito — rispose allora, dispettoso: perchè neppure in fatto di caccia voleva pareri e consigli da nessuno. Il vecchietto tuttavia insistè:

— Tu, passeri? Ricordi, Gregorio, l’anno della grande bufera? Con tutto quel diavolio sei andato su, fino alla conca di Pietranera, e hai cacciato un’aquila. Adesso i pastori hanno visto un cinghiale, ma non riescono a prenderlo: se ci vai tu lo prendi col solo fiuto.

Il cacciatore sorrise, di traverso: tant’è, l’adulazione consola anche i disperati. E Dama, nel capire di che si trattava, si drizzò sul vecchio, quasi per ascoltarne meglio le parole: le grandi orecchie le tremavano come quella volta, al grande vento, quando Gregorio aveva preso l’aquila.

Ma il padrone era subito ricaduto nella sua ombra. La gloria non serve a niente, quando non si ha più nel cuore l’amore per gli uomini.


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