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Fra i due, il cacciatore e il cane, questo sembrava il più felice. Era veramente una cagna, da presa, piuttosto anzianotta, grassa, con una faccia buona ma di una bruttezza da vecchia beghina: ipocrita, però, perchè quando si trattava di caccia si trasformava in un ferocissimo leopardo. Ne aveva l’aspetto e l’agilità snodata, rimbalzante, quasi elettrica, quella mattina del tardo gennaio che sembrava una mattina di aprile. Da sei mesi il padrone non s’era più mosso dal paese, anzi da casa sua, come fosse malato o precocemente rimbambito e imbecillito: sempre accanto al fuoco, nella grande stanza da pranzo che sembrava una sala d’armi, tanto era piena di moschetti, archibugi, fucili, coltelli da caccia, corni e cartucciere; fumava la pipa e sputava sulla fiamma che si ritraeva indietro indignata. Per conto suo Dama, la cagna, avvilita e annoiata, dopo essergli stata un po’ accanto, sbadigliando e stiracchiandosi inutilmente, se ne andava nell’attigua cucina, a rosicchiare gli ossi, a subire l’umiliazione delle pedate della vecchia serva o, peggio ancora, le attenzioni della servetta, che pretendeva di farle leccare gli avanzi del suo caffelatte; finchè, stanca di que-