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tornato più tardi per vedere se tutto continuava ad andar bene.
Tutto andava bene: una felicità giovanile riscaldava il cuore dell’uomo: gli sembrava di non essere più solo; come già a suo padre, una ghirlanda di figli lo accompagnava di qua, di là, come le ali della speranza e dell’amore. E tutta la stanchezza della sua vita si allentava; cadevano i rancori; le ingiustizie patite, e alcune ancora recenti e sanguinanti come ferite, si mutavano in fiori di offerta a chi tutto giudica e paga con puntualità. Di nuovo fu vinto da un lieve sopore; di nuovo fu risvegliato dalla presenza di Celestino. Senza parlare l’operaio aggiungeva legna al fuoco, finchè in fondo al cestino apparve una cosa strana: un mucchio che pareva di brage ed era di monete d’oro.
— Padrone, — egli dice, con la sua voce melliflua, — le ho trovate in un sacchetto, scavando qui nel muro per il camino: sono sue: a me dia quello che solo mi spetta.
E con la mano che pareva una cazzuola ancora bianca di calce, sollevava le monete e le lasciava ricadere nel cestino. Erano tante: e sembrava si moltiplicassero senza numero, luminose, al riflesso del fuoco, come occhi di sole finchè il professore si svegliò: e furono solo i suoi vecchi denti ricoperti d’oro a scintillare nel riso schietto che gli rischiarò il viso, poichè la sua felicità non scemava, anzi si faceva più limpida, nell’accorgersi di essere davvero ritornato fanciullo e di aver ritrovato il tesoro dei sogni.
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