Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/80



Così gli parve di vedere nel camino la fiamma che sprigionava dai ceppi l’odore del ginepro; e quest’odore a sua volta spalancava, al di là di una galleria muschiosa, un panorama di boschi, di rocce, di chine verdi scendenti al confine azzurro del mare. Ma d’improvviso la figura quasi evanescente di Celestino, con la sua aureola di paglia, apparve dietro i cristalli della vetrata, in uno sfondo di rami neri sui quali si libravano ancora, come uccelli notturni, grandi foglie secche. Aveva in mano un bel cestino di giunchi, colmo di pezzi di legna e di trucioli: picchiò lievemente ai vetri, e al professore, venuto ad aprire, disse sottovoce:

— Se permette, facciamo dunque la prova del camino.

L’altro non domandava di meglio. Celestino collocò la legna sugli alari e vi cacciò sotto una manciata di trucioli, ai quali diede fuoco. Il fumo filava bene dentro il tubo della cappa, e in breve le foglie tremule della fiamma germogliarono dai ramicelli neri. Dopo tanti e tanti anni il professore rivide lo splendore del fuoco vivo illuminare la sua casa desolata. Era come se una nuova aurora sorgesse per lui: l’aurora di una nuova fanciullezza che doveva finire solo con la morte.

— Voglio anche dormirci, qui — disse a Celestino, piegato sulle ginocchia come un bonzo in adorazione del fuoco. Quando le brage cominciarono a staccarsi dai tizzi, che pareva si convertissero in oro, l’operaio aggiunse altra legna, poi si sollevò e andò a riempire di nuovo il cestino: infine salutò, e disse che sarebbe ri-

70 —