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metteva, duravano anche sette notti. In fondo, il figlio non ricordava di aver mai gustato un romanzo, nè ammirato uno scrittore di fantasia, come le narrazioni di suo padre e il loro autore.

Adesso, poi, a quest’ammirazione sentiva unirsi una tarda tenerezza: forse perchè anche lui invecchiava, e se avesse avuto famiglia, della quale si era privato per odio antico alla famiglia povera e alle responsabilità del suo capo, pensava che anche lui avrebbe raccolto i figli attorno al fuoco e raccontato loro delle fiabe. Ma in fondo rideva di queste fantasticherie: i figli adesso non vogliono fiabe; vogliono verità solide, parole che abbiano valore autentico; e soprattutto quattrini. Quattrini egli ne aveva pochi; il suo patrimonio consisteva tutto nella villetta di Cervia, che non rendeva un soldo, e in quella sua casa di città, gravata di tasse, risucchiata dalle riparazioni e dai conti di Celestino, ma dove, almeno, egli viveva a modo suo, come l’orso nella sua tana.

Quattrini! Erano stati sempre il suo sogno: e a questo si allacciava forse anche il sogno del camino antico, perchè le fiabe paterne che più lo avevano impressionato, colorite certo dal desiderio dello stanco lavoratore che le raccontava, erano quelle dei tesori nascosti, ritrovati a giusto punto da chi ne aveva urgente bisogno. Il mondo è pieno di tesori: le rovine, i muri delle vecchie case, i tronchi scavati degli alberi secolari, i pagliericci dei falsi mendicanti, persino i sepolcri, ove la morte irride i vani beni della terra, nascondono tesori infruttiferi, che aspettano chi sappia trovarli.

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