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ne delle cose di maggior importanza, la sorveglianza di lei e della serva si rallentò, i gemelli ne profittarono per accostarsi alla carrozzella e tentare qualche distrazione nuova. La sorellina, anche, li attirava, specialmente quando pareva che, mostrando la lingua e prendendoli forte per un dito, si beffasse di loro, ma era la carrozzella, così lucida, mobile, viva, col mistero dei suoi congegni e col ripostiglio sotto il materassino, che, a poterla avere un po’ in loro possesso, li avrebbe soddisfatti come un miracoloso giocattolo. Soprattutto il ripostiglio era per loro una fonte di vivissima tentazione; la mamma, quando andavano ai giardini, ci ficcava dentro tante cosette, pannolini, la scatola del borotalco, involtini, persino il sacchetto delle caramelle e qualche libro con le figure: come non pensarci dunque?
Il diavolo, poi, quel giorno, parve favorirli in modo veramente infernale. Poichè d’un tratto la serva venne giù di corsa, prese la bimba e lasciò la carrozzella in loro completa balìa.
Era l’ora in cui la giovine mamma dava il latte alla pupa: ed era l’ora in cui, per quanto, come in quel giorno, stanca, scontenta e disorientata, ella si sentiva improvvisamente felice. Era, invero, una felicità quasi fisica, press’a poco simile a quella della bambina che le succhiava avidamente il seno. Le sembrava che col latte se ne andasse dal suo sangue una linfa che era di più; e si sentiva più leggera, dopo, o almeno meno inquieta, meno sofferente.
Anche adesso la pupa succhia, geme, ronza
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