Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/58


luce e di sole, dal quale nessuno più poteva scacciarlo; ed anche uno spazio libero, che dalla terra al cielo serviva solo per il respiro, il moto, la felicità dei suoi bambini. Ed ecco che essi già se lo godevano fin da quel momento, allegri liberi come le farfalle di maggio; persino la pupa, nei suoi panneggiamenti sontuosi, faceva smorfie di sorrisi e gorgheggiava guardando il cielo con gli occhi languidi di civettina quasi cosciente, mentre le manine irrequiete tiravano i nastri del corpetto, e pareva li aggiustassero appunto con civetteria.

— Proibito toccarla anche con un dito: e state buoni, e non fate inquietare la mamma, che è già tanto stanca, — raccomandava il padre, prima di dare una capatina all’ufficio — altrimenti sapete cosa vi aspetta.

Essi lo sapevano bene; quindi si contentarono di mettere in attività il loro trenino, lungo il viale che sembrava proprio una strada ferrata in costruzione: e, con la scatola e alcuni stecchi, costruirono la stazione: si davano anche qualche spintone e qualche graffio, ma non protestavano per non richiamare l’attenzione della mamma, già davvero molto stanca e irritata, ed evitare quindi, al ritorno del padre, «ciò che li aspettava». Ogni tanto, adesso, era lei che si affacciava alla terrazzina, col suo bel grembiale azzurro dall’ampia saccoccia, i capelli corti lucidi come il rame, gli occhi turchini un po’ chiari di quella luce verdastra di quando era nervosa: e bastava un suo richiamo per mettere in soggezione grandi e piccoli; ma quando verso il tramonto, urgendo nelle camere la sistemazio-

48 —