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cartelle; e una volta, ricordo, fra le carte intaccate dal suo becco impertinente, rispettò solo una lettera per me importantissima.

Casi? Saranno; ma curiosi e interessati. Essa girava per le stanze con piena libertà, e preferiva gli angoli più belli; spesso si nascondeva, certo per un atavico istinto, ma rispondeva, se chiamata, da una lontananza illusoria di foresta; e se non rispondeva, se anche la si cercava affannosamente fuori di casa, voleva dire che era in un ripostiglio noto a lei sola, a covare un nido immaginario. Curiosa in modo straordinario, si interessava e si rallegrava, — o si allarmava, — di ogni novità. Se i pacchetti che andavano via di casa formavano il suo tormento, quelli che arrivavano ne erano la delizia: non aveva pace finchè non vedeva il loro contenuto, e pareva volesse aiutare ad aprirli, col suo becco industre e potente, sciogliendone lo spago. Ma certi oggetti sconosciuti le destavano un inconcepibile terrore: un mio vestito a fiorellini rossi dovetti portarmelo via in campagna, perchè fu la cosa che più la costrinse, ogni volta che lo vedeva, a fuggire e nascondersi. Forse perchè questo vestito chiassoso e giovanile non era adatto per la sua austera padrona.

E come la piccola Checca era misurata, parca, sana nel suo metodo di vita! Faceva il bagno tutti i giorni, e l’acqua doveva essere più che limpida; anzi l’assaggiava, poi immergeva la testa per provarne la temperatura, e infine si spruzzava le ali o saltava dentro la catinella perchè l’abluzione fosse più completa: infine si


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