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spondeva, e il suo strido non era sempre uguale: poichè con un istinto meraviglioso conosceva le voci amiche e quelle che non lo erano; o se anche semplicemente si beffavano di lei. Quest’istinto, più che umano, ha per lunghi anni destato in noi un senso di sorpresa e, a volte, quasi di turbamento. Poichè la nostra ospite non si sbagliava neppure un attimo sulla natura dei sentimenti dei personaggi che capitavano in casa; e a taluni andava incontro, si lasciava lisciare ed anche prendere, ad altri saltava addosso inferocita, e, se essi si indugiavano, metteva in allarme tutta la casa coi suoi stridi nemici. Guai, poi, se vedeva qualcuno portar via roba di casa: la lavandaia aveva di lei un sacro terrore ogni volta che veniva a prendere i panni.

E si sarebbe detto che conoscesse persino il carattere delle cose che gli conveniva toccare o no: certo gli oggetti lucenti, gli anelli, i bottoni, gli aghi, il ditale, le piccole monete dimenticate in qualche angolo, erano trafugati e nascosti da lei, ma bastava che io le dicessi, quando dallo spigolo del tavolo da lavoro essa mi faceva compagnia e assisteva alle mie piccole industrie: «Checca, rimetti a posto il ditale», perchè questo ricomparisse miracolosamente nel cestino del cucito. Lasciata sola, strappava sistematicamente i giornali che le capitavano sotto, quasi indispettita che, per leggerli, si trascurasse di darle attenzione; ma non toccava i libri; e, poichè anche ai miei lavori di scrittura assisteva spesso, posata sull’orlo dello scrittoio, lacerava, se gliene lasciavo l’occasione, qualche lettera e qualche nota; ma non toccò mai una delle mie

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