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Come un cristallo o una porcellana, lievemente percossi, vibrano di una lunga nota musicale, così oggi il limpidissimo cielo del nuovo inverno è tremulo di un suono caratteristico, inconfondibile. Sono le gracchie, le belle intelligentissime cornacchie nere, tornate ancora una volta dai paesi nebbiosi del nord, che dopo aver ripreso asilo negli alti pini delle vecchie ville romane o sui cornicioni dei campanili e delle torri solcano il cielo fresco giovanile sopra i nostri giardini; e il loro grido di gioia lamentosa, grido di amore, grido che non somiglia a nessuno di altri uccelli, ma ha bensì un ritmo quasi umano, ricorda, come certi profumi, a chi da lungo tempo lo conosce, zone di vita che si credevano oramai dimenticate.
In un suo recente libro di ricordi giovanili, Ivan Bunin, il grande scrittore russo sotto la cui penna ogni parola diventa luce di poesia, ricorda spesso questi uccelli che hanno un loro mistero quasi di favola vivente.
Egli li ricorda con grazia e simpatia; forse anche perchè il suo primo e credo unico delitto fu contro uno di questi intelligentissimi volatili,
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