Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/32


store di vacche brade, era sempre fuori di casa, nel suo lontano ovile.

Nelle due casette davanti, verso la solitaria straducola che conduce al cimitero sotto i monti neri, abitavano poi solo due donne: la vedova selvatica di un contadino, che dopo la morte del marito viveva rintanata nella sua stamberga, sempre a filare, rigida e taciturna come una Parca. Non l’aveva richiamata alla sua antica gaiezza neppure il recente matrimonio della figlia giovanissima, anche perchè era stato un po’ melanconico, cioè celebrato prima che lo sposo, diffidente e geloso, partisse per il servizio militare. E anche la sposina, che la madre lasciava viver sola nell’altra casetta, non sembrava allegra: andava a cogliere le olive nel piccolo predio del marito, lavorava in casa, e spesso si accovacciava sullo scalino della porta guardando lontano e sospirando: ma a volte, come presa da mattía o spinta da una violenza interna, balzava su, snodandosi le lunghe trecce nere e lucenti «come ala di corvo», e si protendeva sul muro del recinto, come quando aspettava i convegni col suo fidanzato: così usava fare la bella della fiaba, lanciando dal balcone le trecce perchè l’amante le afferrasse per salire fino a lei.

La moglie vecchiotta e bisbetica del pastore di vacche trovava molto da criticare nella bruna irrequieta sposa, ed anche nella madre che non la sorvegliava: e a lungo parlava male di loro col suocero, chiamandole pazze e peggio ancora; fino a stancare l’infermo che pensava solo all’eternità. Anche col marito, quando al sabato sera tornava per cambiarsi la camicia, non par-

22 —