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Il cortile era in comune; se cortile poteva dirsi lo spiazzo triangolare che divideva e univa le tre casupole ai suoi angoli, una più malandata dell’altra; tutte e tre abitate da gente laboriosa e tranquilla, rassegnata al suo umile destino. Un muro a secco, di grosse pietre, chiudeva il recinto; vi si vedevano, al di sopra, i monti neri e turchini, di schisto, che al sole parevano di metallo; e anche le rocce che affioravano qua e là sul terreno erboso dello spiazzo, — levigate dai piedi duri e scalzi di molte generazioni di ragazzi che vi avevano pestato sopra, — erano della stessa natura: alla luna sembravano bestie accovacciate, mansuete; di giorno servivano da sedili alle donne, e agli uomini a sollevarvi e a posarvi il piede quando si allacciavano lo sprone e poi saltavano sui cavalli pazienti, per recarsi ai campi.
Adesso, però, non c’erano più ragazzi, le tre famiglie essendone sprovviste; anzi, si può dire, mancavano pure gli uomini, poichè uno di essi era al servizio del Re cioè a fare il soldato, e degli altri due, padre e figlio, il vecchio giaceva mezzo paralitico in fondo ad un androne, e l’altro già abbastanza anziano anche lui, pa-
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