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neppure l’autorità un po’ brusca del nostro zio canonico, riuscirono a convincerla del contrario. Ella aveva veduto la strega sinistra e fiammeggiante saltare sopra di lei, come un cavallo in corsa su una palizzata; e si rannicchiava, cercando di nascondersi; poiché le pareva che il gioco satanico dovesse ripetersi. Infine fu lei stessa che si propose di andare da Marghitta, per dissipare ogni dubbio. Marghitta sola poteva dire se ella era stregata, e trovare il rimedio: ma la ragazza si confidava solo con me, perché gli altri la disapprovavano.

Avevo allora quattordici anni, l’età della servetta, ed anche sopra di me era già passata una vampa soprannaturale, il volo di un arcangelo con gli occhi di sole, la spada di luce e di tenebre. E con questa spada aveva segnato, intorno a me, un cerchio, dal quale sentivo di non poter più uscire. Il male che ne risentivo era forse più grave di quello della ragazza, certo più inguaribile: mi assaliva già un’ansia di uscire dal cerchio fatale, di vedere le cose come le vedevano gli altri, di vivere come vivevano gli altri; e nello stesso tempo una specie di incantesimo pieno di una gioia che gli altri, anche i più felici, non potevano intorno a me provare, mi legava, come, si diceva dai credenti della scienza di Marghitta, certe fattucchiere di amanti legano, per tutta la vita, le persone amate.

Insomma, la malìa dell’arte. Ma, oltre l’istinto di guardare la vita sotto una luce che attraversando uomini e cose ne faceva vedere anche l’interno, provavo una curiosità, anzi un forte

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