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da un tempio, con un senso di sollievo straordinario.

Ella aveva certamente, a sua insaputa, un potere di suggestione efficacissimo per gli spiriti semplici che si rivolgevano a lei: ma quello che le creava maggior credito era la sua stessa semplicità, la sua miseria permanente, il suo modo di fare materno e convinto. Era una donna in fondo sana e normale; certi suoi rimedi tradizionali risalivano ai primi tentativi dell’uomo sofferente che, come gli animali, dopo aver per istinto cercato le erbe, le acque, i semi e i frutti medicamentosi, si rivolse alla divinità e si sentì lenire il male con la sola speranza di una vita di là dove il male muore col nostro miserabile corpo.

Una volta, sul finire dell’estate, scoppiò un memorabile temporale, di quelli dei quali si dice: «A memoria d’uomo non si ricorda l’eguale». La terra tremò come per il terremoto, e il vento mugolò peggio di un mostro; ma il disastro maggiore fu la grandine, d’uno strano colore grigiastro; parevano ciottoli, lanciati da monelli infernali: tutti i vetri delle nostre finestre non riparate da persiane andarono in schegge; una servetta fu trovata svenuta, e quando riprese i sensi ci spaventò a sua volta, tanto era gialla e sconvolta in viso: anche le mani sembravano le zampe di un uccello di malaugurio; e gli occhi uova sode spaccate.

Era l’itterizia; ma la ragazza cominciò a contorcersi e piangere terrorizzata, affermando che una strega con un vestito rosso era saltata sopra di lei, riducendola in quel modo. Nessuno, neppure il vecchio apostolico medico di casa,


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