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per mano, io e un’altra amica, la bionda Giulietta tremante e paurosa; ma si ansava allegramente in compagnia, inciampando fra i ciottoli del vicolo, come su un sentiero di montagna; e si esitò, davanti alla porticina nera, in fondo, alta su due alti gradini di pietra corrosi e umidi; ma quando la donna apparve, sullo sfondo dell’antro, alta, scalza, con un grande fazzoletto nel cui cerchio il viso giallo pareva si affacciasse dalla feritoia di una torre, ogni timore dileguò: poichè i suoi occhi erano azzurri e dolci, e ci sorridevano, da una profondità luminosa, come quelli di una bambina felice. Nonostante la nostra curiosità alquanto morbosa, non ci lasciò entrare in casa: sedette sugli scalini, tirandosi la vecchia gonna di orbace sui grossi piedi che avevano come una suola di cuoio, e ci fissò in silenzio. Poi disse, con voce bassa e allegra: — Voi siete venute per divertivi: è giusto, è giusto: è la vostra età. Che mi avete portato di buono?

Le avevamo portato, legate in un fazzoletto da naso, noci e nocciole.

Ella le guardò, ma non mosse le mani, che aveva nascoste sul grembo entro le spaccature della gonna: e di nuovo ci sorrise, come a compagne di giuoco.

— Io non ho denti, per spezzarle: mangiatele voi, — disse, — e andate in pace.

Ce ne andiamo, mortificate e felici: allo sbocco del viottolo ci si presenta una coppia di paesani di un lontano villaggio; la donna è giovanissima, vestita bene, con ricami colorati intorno al corsetto e al grembiale di panno; ma è

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