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Ricordo sempre le visite che si facevano a comare Marghitta, nel suo antro quasi sibillino in fondo ad uno dei vicoli più stretti, tortuosi, pietrosi e pittoreschi della nostra piccola città. Comare Marghitta era una specie di medichessa, diciamo pure di fattucchiera; ma non lavorava se non sicura di fare opera innocua ed anzi giovevole alla sua clientela: e non accettava denari, sebbene povera tanto da non avere scarpe, da non avere di che coprirsi d’inverno; ed era malaticcia, cerea, asmatica. Il suo primo dovere sarebbe stato quello di curarsi lei; eppure il suo stesso aspetto di vecchia fata travestita da mendicante per meglio provare il cuore della gente; e l’ambiente adatto alla sua figura, lo sfondo ove questa si delineava come in una illustrazione pubblicitaria, le giovavano a meraviglia.

Veniva gente di lontano, a consultarla; e sapendo che non accettava monete nè oggetti di vestiario, le portavano roba da mangiare, anche dolci, anche vasetti di miele e di vino cotto; carne no, perchè non ne voleva.

E noi dunque si andò, una prima volta, a consultarla per una presunta malattia della piccola nostra amica Giulietta: la tenevamo una


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