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tornato dall’America del Sud, con molti quattrini e un diamante al dito, guarda con occhi melanconici e beffardi il nuovo paesaggio, e racconta che un tempo anche lui frequentava la villa del cardinale e partecipava alle feste nel giardino di querce, di pini e di rose.

— C’era un viottolo, qui sotto, incassato fra il muro e un ciglione erboso: pareva il sentiero di un bosco: lo chiamavano via Cupa, per la sua ombra profumata di mentuccia: tante volte ci sono passato anch’io. E, dico la verità, adesso, al mio ritorno, giorni fa, mi sono spinto fin quaggiù, con l’illusione che il luogo fosse ancora quello. Si viaggia il mondo, cara signora, si cambia stato e fortuna, si diventa vecchi, eppure, in fondo, si rimane sempre ragazzi.

Egli, discretamente, non dice se nelle passeggiate per via Cupa lo accompagnava una donna, forse di quelle leggiadre e grottescamente eleganti, che frequentavano la villa e il giardino del cardinale; forse quella ricordata dal vaccaro. Ma con la mano ancora fina, sebbene inguantata di rughe, fa un segno simile a quello della manaccia dell’impresario, cancellando il panorama del passato.

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