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gere su questo poggetto, con la quercia a fianco; e che la villa secolare, la vaccheria primitiva dietro il nostro recinto, con la sua tettoia e i sambuchi intorno, e soprattutto il sentiero incassato fra il muro del giardino e un rialto incoronato di quercioli e di un maestoso platano fremente di foglioline nuove e di uccelli, restassero tali, duraturi, come in una stampa del Piranesi. Ma a cacciar via le graziose provinciali speranze, venne su, zoppicando e ansando, il grosso impresario della Cooperativa per il nuovo quartiere. Stese la mano grassoccia, inanellata, e con un solo gesto, molle e benevolo, cancellò il paesaggio:

— Qui va tutto spianato; qui è la zona dei villini; là delle casette a schiera. Per un po’ di tempo resterà la via Cupa, perchè abbiamo una divergenza col Municipio; ma sparirà anche quella.

Per consolarci si andò ad esplorare la via Cupa, che era il sentiero fra il muro e il rialto delle querce; tutt’altro che cupo: il sole vi spandeva una luce tiepida e rosea, di fiamma discreta: e c’era come un odore e un’atmosfera di bosco, di fiume vicino. Rampicanti sempre verdi ricoprivano le coste del ciglione, e le ombre dei quercioli si affacciavano, in alto, spiando il nostro incantato procedere; ma pareva che il luogo fosse abituato a questo modo di camminare delle coppie felici, perchè le lucertole ci sfioravano i piedi senza spaventarsi, e un gatto nero con un curioso musetto di gufo, appollaiato in una nicchia soleggiata del ciglio, aprì solo un occhio per fissarci quasi insolente.

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