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tutti, morti e vivi; e non si arrabbiò eccessivamente quando una notte, rientrando a casa più sereno e ottimista del solito (l’oste della piazza gli faceva credito), trovò il cane sveglio e ringhiante, e la Checca gonfia, vigile anch’essa; ma invece che al suo solito posto passeggiava furiosa sopra il coperchio della cassa, beccandone il legno e gracchiando come quando aveva fame. Il vecchio indovinò la sua disgrazia: fece saltare la cornacchia sul suo braccio e sollevò il coperchio: il sacco c’era, ma floscio, vuoto.

Gli avevano rubato la pelliccia: ebbene, sia fatta la volontà di Dio. Era di origini impure, destinata a finire come la farina del diavolo. Ed egli sedette accanto al fuoco, e parlò col cane e la cornacchia, come con due buoni amici: e le bestie gli rispondevano, a modo loro, con brividi di rabbia il cane, che gli morsicava e tirava l’orlo dei calzoni, quasi volesse trascinarlo a ritrovare il ladro; con lievi gorgoglianti gracchi di protesta e quasi d’angoscia la sensibile Checca: finchè tutti e tre si calmarono, ripresero i loro posti, e il vecchio, sotto la coperta di lana di capra della prima sua sposa, sbadigliò e recitò una filza di avemaria, per i morti e per i vivi; sì, una persino per il ladro, va tu pure con Dio, poichè solo a Dio spetta giudicarti e punirti.

Ed ecco, la mattina dopo, viene la vicina di casa, quella che già conosceva la pelliccia: viene come i delinquenti che, spinti da una forza misteriosa, tornano sul luogo del loro delitto: ma appena s’è affacciata alla porta il cane le si avventa addosso come un cinghiale, e la Checca si precipita di volo dalla cassa ormai

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