Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/266


e anche umiliazione: e forse anche un po’ di orgoglio. Le pareva che l’altra sapesse tutto, di lei e dei suoi cattivi propositi, e dentro di sè la irridesse: questo, più che l’ambiguo contegno del giovane, la irritava e l’umiliava. Ma questa stessa contrarietà le fece, per un momento, apparire il quadro grigio della casetta, ove la nonna, povera e irsuta come una vecchia bestia da fatica, puliva il pesce per la loro cena: povera e irsuta, sì, ma col peso degli anni e dei lunghi dolori, e della pazienza e dell’amore, gettato sulla schiena come il sacco del frumento sulla groppa dell’asino.

Il sole intanto andava giù, rosso infocato; anche il mare si faceva rosso, e il vestito azzurro risplendeva, ma come rischiarato dallo splendore interno del corpo della sconosciuta. E, ormai sicura ch’ella non se ne sarebbe andata, l’altra le volse anche lei le spalle e guardò le paranze che si libravano fra cielo e mare, sul tremulo fuoco dei loro riflessi. E là erano gli uomini della sua razza, le statue di stracci e di sale, sempre in lotta con la povertà e la morte: ma in questo momento anch’essi risplendevano come statue d’oro.

La prese una specie d’incantesimo; ricordò la notte in cui suo padre era stato divorato dal mare. Qualche cosa, però, la trasse subito dall’abisso spaventoso di questo ricordo; le parve di cadere, come si cade nei brutti sogni, e di svegliarsi di soprassalto col sollievo di aver solo sognato.

Allora si volse e vide che l’uomo se n’era andato e sentì un disgusto, un profondo disprez-

256 —