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sì, bisogna affrettarsi, la vita è breve; — e le altre donne si agitano, escono, rientrano, s’incontrano sull’uscio, confabulano, apparecchiano.

Già tutto è pronto sulla mensa improvvisata con due panche unite; il vassoio col salame rosseggia come una macchia di sangue; il coniglio che la Bustighina aveva consegnato vivo e bianco alla Stellina, riappare intero ma tutto coperto da una crosta dorata e raggomitolato come in uno spasimo di terrore; dalla zuppiera coi rosei gnocchi esala una nuvoletta fragrante e le fiammelle dei fuochi fatui della gioia brillano entro le bottiglie nere.

E le donne si dispongono in circolo attorno alla mensa: ciascuna di loro ha in mano una scodella dorata, con dentro un po’ di gnocchi sui quali aspettano che la Palmira versi il vino spumante: silenziose, gravi, sembrano intente ad un rito. La giovine nuora, curva e coi bei capelli biondi dorati dalla luce della lampadina, stura una bottiglia, stringendola fra le ginocchia, e prega sottovoce il tappo di venir fuori, di non far rumore, di non far scoppiare il vetro... Ma il tappo fa tutto il contrario e, come un uccello liberato dopo lunga prigionia, appena tagliata la corda, vola e la spuma rossa del lambrusco lo segue follemente su fino al soffitto.

Allora, come svegliati e offesi da questo soffio di vita e di gioia, i terribili spiriti che pareva avessero per tutta la sera sonnecchiato negli angoli bui della stalla, scoppiarono anch’essi: e una gamba mostruosa apparve fra i travicelli del soffitto, come la gamba d’un gigante che


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