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«Ella mi amava per la mia sventura. Ed io l’amavo per la sua pietà».

Altri starnuti rispondevano. Ma non era nella scìa interessata della mia compassione che il gobbo trasognato procedeva: era altro il segreto che lo attirava; e qualche tempo dopo la bruna corrucciata Elena mi investì con fredda rabbia:

— Ma che hai fatto, quella notte del ballo, al malaugurato gobbo? Gli hai dato il filtro? Adesso, ogni volta che vado a messa, mi aspetta davanti alla chiesa, mi attacca gli occhi addosso, non li stacca mai durante la funzione; poi mi segue fino a casa, come un cagnolino, e fa ridere la gente dietro di noi.

— È innamorato del tuo costume, Elena; abbi pazienza: almeno di un vestito può bene innamorarsi: quanti uomini non fanno altrettanto? E poi ti porterà fortuna.

Ma anche lei, che nonostante i suoi diciotto anni aveva già la saggezza melanconica della gente solitaria, domandò col suo languido riso di beffa:

— Che cosa è la fortuna?


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