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La buona donna prova: torna disfatta.

— Senta, la colpa è tutta della loro serva: è una prepotente, e mi ha risposto male. Il gallo è di razza; le galline fanno, adesso, molte uova grosse e anche col doppio torlo.

E qui la buona donna pronunziò, all’indirizzo della serva del pollaio, una sequela d’ingiurie e insinuazioni impossibili a ripetersi fra «gente educata».

Non restava che consultare l’avvocato, che non domandava di meglio. E quando egli sentì di che razza di causa si trattava, non si scompose: gli articoli della legge erano lì, pronti, fra le sue dita agili e bianche, come i fili di una rete che pesca le più introvabili marachelle umane: leggi di pubblica sicurezza, di pubblica quiete, di vivere civile. Anche lui però è del parere che prima bisogna tentare con le buone, di fare appello alla cortesia dei vicini. «Lasci fare a me, signora: vedrà che questa notte riposa».

Quella notte il gallo cominciò a cantare a un’ora: e pareva si beffasse della signora, della serva, dell’avvocato, dell’universo intero: persino le stelle, sul fresco cielo di giada, tremavano di rabbia.

Torna l’avvocato: la malattia gli si era attaccata come il morbillo; e infatti egli aveva una specie di prurito nascosto, un principio di febbre.

— Ma non sa che nè io, nè i miei fratelli abbiamo chiuso occhio tutta la notte? E da noi il maledetto bestione si sente più forte che qui. E dire che ieri la padrona stessa ha promesso

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