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cintura, e rallegratevi: chè oggi c’è da mordere il fegato del nemico.

Chi non si rallegrava era la signora: tutti i suoi malanni l’aggredivano di nuovo, come quell’oste crudele, pungendola con le loro freccie avvelenate. Volta, rivolta, le tenere lenzuola di lino si cambiarono in tela d’ortica; all’alba ella vedeva rosso, in cielo e in terra: sangue e fuoco; e vedeva un capo-tribù di pellirosse, piumato e cannibale, che invitava il suo seguito a un banchetto di carne umana. Era il gallo.


— Se un’altra notte si ripete la stessa cosa me ne vado in una casa di salute; o ricorro a un avvocato.

— Senta, — consiglia la vecchia saggia domestica, — ricorra all’avvocato; è meglio: al suo bravo avvocato, che sta qui accanto; lo vedo tutte le mattine, che corre con una borsa come debba sempre partire.

— Aspettiamo un’altra notte.

Un’altra notte d’inferno; all’alba la signora si alza come una morta risuscitata, negli occhi la verde luce della follìa. Partire, fuggire, emigrare; introdurre una volpe nel pollaio; o ricorrere all’avvocato. La serva, suggestionata, ha pure lei sentito la tromba incessante del gallo, e vede la sua antica saggezza liquefarsi come il burro nelle sue casseruole. Però dice:

— Senta, non sarebbe bene pregare quei signori che hanno il pollaio, di chiudere il gallo? Un piacere ai vicini non si nega mai, fra gente educata.

— Proviamo un po’.


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