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Ed ecco una notte, verso le due, un canto di gallo la sveglia quasi di soprassalto. Ma è un canto straordinario, potente, mai sentito: sembra la voce di un uomo, e di un uomo in gamba, nerboruto, che non conosce legge nè disciplina. La signora prova quasi un senso di sgomento. Per chi canta il gallo terribile, a quell’ora? Non certo per le galline, che dormono ancora, e che, del resto, ne devono avere abbastanza di lui e del suo sultanesco dominio, durante la giornata: non canta neppure per sè stesso, perché sa la sua potenza e non gli importa di essere vanitoso: e tanto meno per l’altro gallo, lontano, che gli risponde per dovere, assonnato e flebile come l’eco di una caverna: per chi, dunque? Sembra lo squillo di una tromba che desta i morti per il Giudizio Universale, con tutta la loro coscienza di peccatori: e la signora, al terzo canto dell’infernale araldo, ebbe quasi voglia di piangere. Ricordava la profezia di Gesù, la serva nel cortile di Caifa, e San Pietro, San Pietro, il fondatore della Chiesa, che rinnegava il suo Maestro.

E adesso che il gallo ha cantato tre volte, nella notte cristallina di maggio, voltiamoci nel grande letto ancora deliziosamente freschino; e riprendiamo a navigare sulle acque azzurre dell’oblio. Ma che! Il canto si ripete, a intervalli brevissimi; anzi si rinforza, batte davvero gli echi più lontani, spaventa persino i cani da guardia. Altro che ordinato e spicciativo Giudizio Universale: sembra la sveglia di un bivacco di guerrieri barbari: alzatevi, stringete la

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