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ventilata. Il padrone pensa che può permettersi di bere un mezzo litro, di quello buono, tanto più che per lui mezzo litro è come un bicchierino di rosolio per una signora.

L’oste era un suo amicone; e, poichè l’osteria campestre era già quasi deserta, venne a sedersi al tavolo, in fondo al cortile, accanto al quale stava legato il cavallo. E del cavallo si cominciò a parlare, mentre, oltre al mezzo litro di quello buono, l’oste ridanciano ne offriva un altro mezzo litro ancora più buono. L’aria ne era tutta profumata, anche perchè nella cantina bollivano le botti del mosto, e sulle pendici dei colli le vigne ancora non vendemmiate odoravano al fresco del tramonto. Dice l’oste:

— Mi sembra dimagrito, il tuo Ornello: e ha l’occhio spento.

— Ha una passione. È geloso.

— Eh, sì, lo so: i cavalli buoni soffrono come i cristiani: si affezionano, hanno amici e nemici, sono gelosi e invidiosi: proprio come noi.

— Mia moglie, non so perchè, non lo può vedere: non lo maltratta, perchè altrimenti lei ne piglierebbe da me un sacco e una sporta, ma ne parla male, e gli contrappone quel ronzino del cavallo di mio fratello. E la bestia capisce; si accora, è gelosa dell’altro, dimagrisce. Sì, a volte le bestie sono più brave di noi.

Ornello allungava la testa, melanconico: pareva ascoltasse.

— E dàgli da bere, — consigliò l’oste, — vedrai che riprende coraggio.

L’altro, già allegrotto, si alzò, versò in una ciotola un fondo di bottiglia e lo porse al ca-


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