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quando la ebbe ridotta all’impotenza, la buttò nell’acqua in bollore. Caterina guardava, da lontano, e si faceva rossa come l’aragosta nel suo bagno infernale; e pensava che sì, così, dev’essere l’inferno per i cattivi, per quelli che invece di rivolgersi alla destra, verso l’angelo custode, si volgono a sinistra verso il diavolo.
La padrona la scosse, ordinandole di tirar giù, dal secondo piano della credenza, il piatto speciale per il pesce: la signorina l’aiutò, anzi le fece paura togliendole la sedia di sotto i piedi e minacciando di lasciarla sospesa per aria. Ma non importa; salvo sia il piatto: ed ella saltò giù, si fece male a un piede, zoppicando cominciò ad apparecchiare la tavola. In fondo era felice: le piacevano le novità, il disordine, gli strilli della padrona e gli sbuffi beati del padrone che aiutava a sbattere la salsa per l’aragosta. Solo la signorina se ne stava silenziosa e distratta; pareva sapesse della lettera. La lettera! Caterina si tastò la sottana, e le parve di essere tutta vuota; poichè vuota era la tasca; e per quanto ella si palpasse in tutte le parti del corpo, e guardasse sotto e dentro la credenza, e poi in ogni angolo della casa, la lettera non si trovò più. Fu dapprima una disperazione paurosa, un desiderio di fuggire; poi, a poco a poco, l’astuta rassegnazione di chi sa il fatto suo. Era certo la signorina, che le aveva preso la lettera; ella preferiva credere fosse stato il folletto; e questa volta ci poteva giurare davvero; ma la signorina si guardava bene dal chiederle spiegazioni.
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