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tina, quella che, in certe giornate di marzo, precede lo sfolgorare diamantino del sole già primaverile.
Leggende, favole, novelle d’amore lette di nascosto dalla mamma, confusi desiderî e rimorsi senza causa, melanconie e pazzi impeti di gioia, si confondono in un trasparente gioco del suo cervello: il cuore non è intaccato; e neppure l’appetito e il formidabile sonno delle lunghe o corte notti dell’anno suo quindicesimo di età.
Ad ogni buon fine chiuse a chiave l’armadio e i cassetti, e si convinse che il folletto non era abbastanza sfrontato da possedere chiavi false.
Ma fu la volta dello scrittoio. Ella non andava più a scuola, e ne era felice; conservava però i suoi quaderni, possedeva carta da lettere, cartoline illustrate, calendari e buste chiuse, con dentro tutti i più misteriosi segreti di Pulcinella.
Il folletto aprì le buste, richiudendole malamente con la saliva, sfogliò i quaderni, rubò qualche cartolina con la viola del pensiero, macchiò d’inchiostro il panno del piccolo pulito scrittoio.
— Senti, Caterina; se tu ti azzardi a frugare qui ancora, ti prendo, ti lego stretta come un salame, e ti faccio rimandare a casa tua.
Questo si chiamava parlare: e Caterina si spaventò più che per lo spauracchio. Tuttavia insisteva, bugiarda per indomabile natura:
— Ti giuro che non ho toccato niente. Ma se non so leggere!
E neppure questo era vero, perchè le cartoline che arrivavano alla famiglia portavano le
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