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Adesso che Gina era alta e soda, una vera Giunone ancora in sottanina rosa, e ancora tanto pacioccona da pensare solo alle faccende di casa, adesso che lo stipendio del babbino era calato, e lei poteva trastullarsi con l’aspirapolvere come con uno dei giocattoli appena abbandonati, si pensò di licenziare la serva elegante quanto birbante, e prendere una ragazzina di campagna, di quelle robuste e smaliziate che lavorano più delle grandi. Venne la ragazzina, con una testina nera, due codine di trecce, due occhietti vivi, i dentini acuti: tutto di topo campagnolo, ma di quelli buoni, che rovinano interi seminati.

Lavorare lavorava: e poi si affezionò subito alla casa, agli oggetti di cucina, ed anche alla signorina, che le faceva da maestra di economia domestica. Più che affezione era un senso di ammirazione quasi morbosa: le toccava i vestiti, le scarpe, le andava sempre appresso; e sembrava, accanto alla gigantesca bambolona, una di quelle figurine disegnate a fianco di un tronco d’albero secolare per farne risaltare e misurare la grandezza.

Però Gina si accorse che Topolina, per quan-


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