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tirassi su? Ma c’è pericolo di precipitare. Ma che diavolo fanno i contadini? Non sentono il chiasso? Perchè non vengono ad aiutarmi? Possono però anche tirarmi una fucilata. E, infine, che ho fatto io? Non sono un ladro; non avevo cattive intenzioni: non faccio male a nessuno. E dicono poi che i cani sono bestie intelligenti.
E gli veniva voglia di parlamentare col cane, di fargli intendere la ragione: si guardava bene però di aprir bocca e soprattutto di muoversi. Passerà anche questa; qualcuno verrà. Rassicurato alquanto, provava anzi, in fondo in fondo, un certo gusto al pericolo. Gli sembrava di essere un aquilotto, minacciato dal cacciatore, nel suo nido aspro illuminato dalla luna; e si pentiva di non aver preso, per paura di una contravvenzione, la rivoltella del padre. Così avrebbe dato una buona lezione al cane: e gli parve fosse questo suo coraggio, questo suo orgoglio di resistenza, a intimorire per suggestione la bestia; poichè i suoi urli cominciarono ad affievolirsi, a diventare quasi lamenti, a farsi anzi supplichevoli.
— Scendi, Giuseppe; vattene; sono stanco di abbaiare per un piccolo mascalzone quale tu sei.
Anche gli altri cani erano tornati ai fatti loro; e nel silenzio già glauco di luna, si sentivano, dalla strada, i fili del telegrafo vibrare come le corde di una chitarra. Così, almeno, sembrava a Giuseppe; e gli parve che quei fili lavorassero parlando di lui. La madre, a quell’ora, già scoperta la fuga del suo Giuseppe, ne comunicava la notizia alla questura: la questura la trasmet-
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