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forchette di stagno che furono offerte come rarità archeologiche agli ospiti più illustri; ma la tavola fu il parapetto della piattaforma, con la lampada del sole all’orizzonte. Più che un banchetto sembrava un rito, una casta comunione in omaggio alle deità fluviali, con gl’invitati in piedi lungo la rozza balaustrata, al suono d’organo delle onde: e i gnocchi sparivano in religioso raccoglimento o meglio si liquefacevano in bocca, come ostie: ed era invece, il loro, un sapore indefinibile; qualche cosa fra il piacere, sì, della gola, ma anche quello di un verso dimenticato che d’improvviso torna alla memoria. L’acqua del fiume, con la quale erano impastati, c’entrava certamente in questa malìa.

Forse i mugnai non la pensavano così, sebbene anch’essi assorti e un po’ in soggezione: anzi il più giovane, un bel ragazzo ancora liscio e imberbe, si ingozzò come un bambino, e, come appunto ai bambini, la bella dalla treccia d’oro, per mortificarlo di più, corse a battergli la mano sulla spalla. Per fare lo spiritoso, egli cominciò a gridare: «Aiuto, aiuto». Una voce lontana rispose: e pareva fosse anch’essa quella dell’eco, mentre era invece il pescatore dell’isola, che, a sua volta forse con invidia, si accorgeva della festa sul mulino. Il vecchio rispose a modo suo, col risolino beffardo della bocca sdentata: scuoteva cioè una bottiglia di lambrusco che scintillava al riverbero dell’acqua: la sturò, e il turbolento zampillo che ne saltò fuori parve un fiore violaceo.

Allora la timidezza del suo goffo figliuolo e dei giovani nipoti si cambiò in tanta familiare


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