Pagina:Deledda - Il cedro del Libano, Milano, Garzanti, 1939.djvu/161



Si era andati a passare quello scorcio di vacanze nella provincia di Mantova, in riva al Po.

La casa dei nostri ospiti, agiati e laboriosi artigiani, era proprio sotto l’argine, al quale si saliva per una fuga, largo sentiero ombreggiato da alti pioppi che parevano fatti di una sostanza evanescente. Davanti e intorno alla casa, separata dalle altre da prati e frutteti, si stendeva una luminosa cometa di saggine segate e messe ad asciugare; e del resto quasi tutta la distesa dei campi era bionda, e il verde della vegetazione ancora fresca aveva come un riflesso di quest’oro ogni giorno più intensificato dal sole di settembre. Nel pomeriggio faceva caldo: un caldo quasi afoso, senza respiro; ma col cadere del sole l’aria si inteneriva; veniva su l’alito sano del fiume; pur senza vento i pioppi tremolavano, quasi facendosi fresco da sé, e un profumo di fieno, di siepi, di terra umida si spandeva fin dentro la casa in quell’ora tranquilla e deserta. Tutti erano a lavorare nei campi, o nella fabbrica di scope dei nostri ospiti; quattro oche dure e fiere come scolpite nel marmo vigilavano l’aia, e guai a chi non da esse conosciuto, si azzardava ad avvicinarsi all’abitazione


— 151