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e bianca, con un po’ di azzurro negli occhi e un po’ di viola sulle labbra, e volle rendere giustizia. Una melagrana? Sì, aveva veduto un ragazzo, alla svolta della strada, che spaccava contro il muro una melagrana e la mordeva. Ma neppure lei disse chi era.
Così il servo lasciò il ragazzo, che corse via piangendo verso casa, ma per non prenderne ancora dalla zia, — il padre fortunatamente non c’era, — si rifugiò coi bambini della stiratrice nell’antro di questa. Tutti dentro, come pulcini spauriti dal passaggio del nibbio: tutti bianchi come la ricotta appena finita di mangiare. La zia però, col viso livido, venne a cercare i ragazzi, e avrebbe finito lo scempio se il piccolo nipote non si fosse d’un tratto piegato in avanti, stringendosi con le mani il ventre. E vomitò: vomitò un liquido rosso che colorì il pavimento bianchiccio di varechina. Le due donne si guardarono con terrore: poi la stiratrice mise la mano sulla fronte del ragazzo, aiutandolo a finire di sputare sangue e saliva. Mormorava:
— Non è nulla, non è nulla, — ma tremava tutta, e quando il ragazzo fu adagiato su una sedia, vuoto e sudato come una camicia bagnata, ella spazzò con la scopa intrisa di varechina la pozza del sangue, accanendosi come per far sparire il segno di un assassinio.
L’altro fratello intanto, spinto da un furore di paura e di rabbia impotente, correva dietro il ladro: lo vide che risaliva la strada succhiando metà della melagrana, e con l’altra raschiando il muro; e questo evidente disprezzo del frutto proibito accrebbe la sua esasperazione. Cercò
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