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presto i figli del fornaio, e i due maschietti del lucidatore di mobili. Questi due erano i più meschini, sporchi e, sembrava, affamati. Ma si capiva perchè: la madre era morta di mal di petto, il mese prima, e adesso badava a loro una parente anch’essa malaticcia e stanca: ad ogni modo tutti erano pronti a gridare, ad arrampicarsi dove si poteva, e sopra tutto a darsi le botte: e la battaglia sarebbe presto cominciata se in fondo alla strada, dove finiva il muro del giardino, non fosse apparso il nemico comune.

Nemico temuto e temibile per la sua audacia, ma anche per un certo suo colore misterioso.

Era tutto nero, con un grembiale che aveva il luccicore duro e unto del carbon fossile; solo i capelli erano color terra, opachi e umidi, come se egli, sbucando da una miniera intatta, avesse sfondato con la testa l’ultimo strato di argilla. E da una specie di cava egli invero sbucava; perchè era il figlio del carbonaio.

Come i ragazzini del lucidatore di mobili, neppure lui aveva, per la pausa festiva, mutato vesti; e neppure s’era lavato, cosa per lui perfettamente inutile; ma lo spirito della giornata gli turbinava dentro, con una voglia ebbra di fare cose cattive, di sentirsi libero del demone che per sei giorni della settimana lo schiacciava coi sacchi del carbone portati a spalla, demone a sua volta. Un’occhiata gli bastò per avvolgere in un principio di gas asfissianti l’orda nemica; specialmente le bambine, che pure avevano per lui l’ammirazione morbosa che si ha per il figlio dell’orco: le bambine che cono-

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