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lico, increspata come un’onda: rassomigliava al patriarca Giacobbe, vecchio, sì, ma ancora potente, col pastorale del comando.

Donna Giacinta, poichè non voleva che le serve sentissero dei suoi affari, lo ricevette nella camera di Gioachino dove c’era il suo scrittoio da studente che invece di intenerirla l’aveva sempre irritata, perchè il ragazzo vi teneva, non i registri delle entrate e delle uscite, ma disordinati quaderni di poesie, minute di letterine amorose e altre dannose scritture.

Seduto davanti a questo scrittoio l’uomo parlò pacatamente dell’affare: disse che c’era una ottima produzione di sughero, questa volta, ed essendo questo cresciuto di prezzo per nuove applicazioni industriali, offriva una somma dalla proprietaria assolutamente inaspettata. La sola caparra raggiungeva una ragguardevole somma. Poi si parlò dei giovani, e il negoziante raccontò che i suoi figliuoli s’erano tutti sposati, e alcuni avevano già qualche bambino.

— Avranno sposato donne ricche, — dice la baffuta Giacinta, raccogliendo intanto i denari che l’uomo le aveva contato, — oh, certamente ricche.

— Ma perchè ricche? Brave ragazze, sono piene di salute e di buona volontà. E allattano i loro marmocchi e fanno il pane per i loro uomini. Questa è la vera ricchezza. La mia casa è sempre allegra come una sala da ballo in giorno di festa. E di suo figlio, donna Giacinta, ha buone notizie?

Donna Giacinta raccoglie i denari e tende l’orecchio come per ascoltare il lieto frastuono della casa del patriarca. Ma non sente che il


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9 — Deledda.