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bini che facilmente vi possono incidere i loro giocattoli; ridotto in fogli sottili e quasi trasparenti si trasforma in decorazioni delicate, per quanto di gusto discutibile, e persino in biglietti da visita; e fra le altre mille cose alle quali può servire, ma questa volta in modo nocivo, alle donne che hanno qualche vendetta piccola o grande da compiere.

A una di queste singolari fattucchiere donna Giacinta aveva un tempo attribuito la sua disgrazia. Il suo unico figlio, Gioachino, bellissimo giovane esuberante di vita, Gioachino che era stato coraggioso e valoroso volontario di guerra, e, al ritorno, più agile e robusto di prima, s’era divertito nel miglior modo possibile consentito dall’ambiente del paese, era un giorno partito alla ventura con pochi soldi in tasca, come un disoccupato in cerca di lavoro, e dopo i primi anni non aveva più fatto sapere nulla di sè. Una ragazza al servizio della casa, ingannata e delusa da lui, aveva combinato la fattura, intagliando nel sughero una statuetta deforme, e anche poco decente, che rassomigliava allo Zeus degli scavi preistorici, e l’aveva flagellata di spille con la capocchia rossa. Così per opera di questo minuscolo mostro, ma soprattutto per la ferma volontà demoniaca della fanciulla delusa, la disgrazia doveva pesare a lungo sulla casa della benestante donna Giacinta: e la benestante donna Giacinta, trovata la statuetta proprio sopra la cornice antica di un uscio che dalla sua camera comunicava con quella del figlio, attribuiva la scomparsa di lui alle maledizioni della ragazza: senza ricordarsi


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