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In quel tempo ci piaceva il giuoco dei poveri: cioè fingere di essere realmente poveri, di aspettare il soccorso del prossimo e, se occorreva, andare ad elemosinarlo. Il fatto dipendeva dalla morte serena e improvvisa di una vecchia mendicante che da mezzo secolo viveva in una specie di legnaia in fondo al nostro orticello. Avrebbe dovuto pagarne il fitto — quindici soldi al mese — ma se n’era andata con tutti gli arretrati; e mio padre anzi pagò i funerali.

— Troveremo poi il gruzzolo che deve aver lasciato nascosto in qualche buco — egli disse; ma non si aveva mai il tempo, nè la voglia e neppure l’illusione di trovarlo davvero.

La sua fortuna, la vecchia gobbina, la lasciò tutta a noi, ragazzette romantiche ma non tanto, che ci si installò nel suo domicilio per fingere, dunque, di giocare ai poveri e per fare il comodo nostro. Ella aveva lasciato la stamberga relativamente pulita, con un saccone di stoppie coperto da una ruvida coltre, dono di mia madre; uno sgabello, del quale, del resto, si poteva fare a meno perchè negli angoli c’erano, come nei boschi, ceppi e tronchi d’albero più comodi di certe sedie civili; un’anfora di creta,


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