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quel tempo non si poteva neppure andare in giro a cercar lavoro.

— C’è però la serva del commendatore che, dovendo sposarsi la sua signorina, ha promesso di farmi arrotare tre dozzine di coltelli. Andiamo a vedere: può darsi che me li lasci portare qui.

Con questa speranza andarono a vedere; ma la serva non era in casa e la cuoca non aveva tempo da perdere coi due poveracci. Tornarono indietro, e il compaesano dovette far le spese lui: comprarono pane, lardo e altre due arance: il nevischio continuava a cadere, fangoso e pungente: ma nel casotto non mancavano almeno le assicelle per alimentare il fuoco. Riconfortati, anzi rallegrati dal calore dei loro sedici anni e delle loro avventure, i due amici si abbandonarono ai loro ricordi, di quando bambini cavalcavano l’asino del padre di Michele secondo; oppure quando, nell’oliveto roccioso, sopra i dirupi del paese, andavano a caccia di talpe. Bei tempi: e al loro ricordo essi si sentivano così felici che ridevano fino a buttarsi l’uno contro l’altro, ripetendo, per scherzo s’intende, i loro esercizi maneschi. Poi, non essendoci altro da fare, si sdraiarono sul giaciglio, abbracciati come bambini; e l’un Michele sognava una grande officina dove egli si arrabattava ad aggiustare un’automobile che era anche una macchina d’arrotino, mentre l’altro, già pratico della realtà, si accontentava dei trentasei coltelli del commendatore.

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