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i rovi, nel centro della grande conca; e fra esili graniti bianchi, simili a stele, pareva il demonio fra anime innocenti. Si diceva, infatti, fosse un monolito caduto al tempo della rivolta degli angeli, quando anche le stelle, travolte dalla caduta dei ribelli, s’infransero: e che, a sollevarlo, ci si trovasse sotto un’entrata all’inferno. Il luogo era certamente strano, covo di bestie selvatiche, rifugio di uomini banditi e cacciati dagli altri uomini, meta di pastorelli in cerca di avventure sovrannaturali. Anche le querce si erano fermate sull’alto delle rupi, sull’orlo della conca, quasi diffidando di crescervi dentro: e il sole lo sfiorava, girandovi intorno, illuminando solo, dall’alto dello zenit, la pietra misteriosa.

E il cacciatore, che aveva ripreso tutte le sue antiche energie, guardò anche lui dall’alto della conca, come quando, nel bere il vino forte, guardava dentro la coppa che lo distoglieva dai suoi bassi pensieri: di nuovo si sentì dritto e audace; si tolse il berretto, scosse indietro i capelli inselvatichiti come il puledro liberato dal freno.

— Cerca, — disse alla cagna; e quella si slanciò giù volando sulle rocce; sparì, infiltrandosi fra i cespugli e le macchie come un uccello; riapparve in fondo, intorno al masso nero; si vedevano i suoi occhi scuri scintillare diabolici, quasi per il riflesso della pietra, e il padrone a sua volta ne sentiva il riflesso nei suoi. Scese anche lui e si appostò a metà della conca, col fucile pronto: se il cinghiale c’era non gli sarebbe sfuggito certo, fosse la femmina, o il maschio ipocondriaco che difende la sua libertà


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