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dormente, il cui lieve russare gli sembrava un lontano rumore di pioggia.
— No, io non ho il coraggio di colpire. Ho paura, — pensava Andrea. — Sono un impotente, ecco tutto!
E ad un tratto, preso da un impeto di rabbia contro sè stesso, sollevò il braccio.... Ma improvvisamente, come spinto da una persona invisibile, si volse, uscì dalla camera di zia Coanna, poi da quella di zio Verre, poi dalla cucina.
Un servo s’alzò a sedere, lo seguì con gli occhi appannati dal sonno, poi si rovesciò di nuovo sulla stuoja.
Andrea si fermò presso la siepe e lanciò, lontano il coltello; poi si diresse verso il paese. La luna era tramontata; ma un chiarore incerto pioveva ancora dal cielo biancastro: l’aria era tiepida; i narcisi olezzavano. Andrea pensava:
— Ebbene sì, fuggo perchè dopo tutto non bisogna fidarci mai di noi stessi; e sarò anche un vile, ma la mia forza è appunto in questa viltà: non farò mai del male, mai.... neppure volendolo!...
E gli sembrava di esser guarito da una terribile malattia.