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poroso, sul cui sfondo argenteo distinguevasi appena qualche albero dai rami sfumati: il quadro era dolce, poetico, ma il giovane studente non sentiva più la gioia della primavera, come l’aveva sentita il giorno prima. — Che farò oggi? — si domandò. — Si propose di scrivere, di prendere qualche appunto sul paesaggio che vedeva, sulle impressioni che sentiva; ma poi sorrise della sua idea.
Scese in cucina. Sua madre non c’era, ma sul focolare acceso bolliva il caffè; un bel gattino a macchie nere e gialle volteggiava per la cucina, combattendo una battaglia vana contro la sua coda che non riusciva ad afferrare.
Regnava un profondo silenzio; dal finestrino della porta scorgevasi uno sfondo nebbioso; pareva che il mondo finisse lì.
Andrea sedette presso il fuoco, prese il caffè, osservò i giochi del gattino: ricordi infantili ritornarono nel suo pensiero.
— Quanti sogni ho fatto qui, seduto presso il fuoco! Ero ambizioso e fiero, non c’è che dire, avevo vergogna di questa casetta, sognavo di fabbricare qui un palazzo, e di far indossare a mia madre vestiti da signora.
Deledda, I giuochi della vita. | 4 |